A ottobre, sarebbero stati dieci anni dall’uscita su Gardenia del primo articolo di Pia Pera che, sull’ultima pagina di questa rivista, tutti i mesi ci raccontava le sue esperienze di “Apprendista di felicità”. Ma dal dicembre scorso la malattia degenerativa che l’aveva colpita, la SLA, le impediva di scrivere. Aveva scoperto di essere ammalata nel 2011 e chi ha letto il suo ultimo libro Al giardino ancora non l’ho detto (Ponte alle Grazie) conosce tutte le paure, le speranze e i momenti di gioia vissuti durante questa lenta discesa.
Il libro si ferma a due anni fa. E dopo? Mi hanno chiesto in molti. Dopo, Pia ha continuato a vivere nel suo giardino, su quella sedia a rotelle motorizzata che lei “guidava” intrepida. Un pomeriggio, alla fine di luglio, una delle ruote è finita in un fosso e Pia è caduta sbattendo il volto e compromettendo così un equilibrio fragile (da più di un anno usava il respiratore giorno e notte) e un fisico ormai consumato dal male.
Dopo la sua scomparsa, la stampa e il mondo letterario hanno celebrato in lei la grandissima intellettuale che era. Traduttrice dal russo (Puskin, Checov, Lermontov), scrittrice di successo (Il diario di Lo), collaboratrice di Internazionale, Diario e del Domenicale del Sole 24Ore. Ma l’articolo con cui lei voleva essere ricordata era quello scritto da Paolo Pejrone su questo giornale (Gardenia n. 372, aprile 2015) che si concludeva così: «Riuscire a passare dalla teoria alla pratica, dalle idee ai risultati è un privilegio raro e per pochi. Pia Pera è certamente tra questi».
Quello che ci resta di lei non sono soltanto le parole. Bellissime, poetiche, colte e sensuali, sapienti e filosofiche, che potremo sempre andare a rileggere. Parole scritte sulle pagine di questa rivista e nei suoi libri, L’orto di un perdigiorno, Il giardino che vorrei e Giardino&Orto terapia, che sarà ripubblicato ai primi di ottobre con il titolo di La virtù dell’orto e il cui senso è comunque tutto nel sottotitolo: “Coltivando la terra si coltiva anche la felicità”.
Forse di lei non ci resterà neppure il giardino. Certo, nel podere in Lucchesia, alle pendici del monte Pisano a cui ha dedicato tanta energia e tanta parte della vita, continueranno a crescere gli alberi da lei seminati uno a uno, a fiorire le piante più rare, scelte e curate con tanta attenzione, in compagnia dei suoi adorati cani: Nino, che non c’è più, e Macchia, che ancora vi scorrazza. Ma forse il giardino non sarà più esattamente e completamente il suo. Come lei stessa aveva scritto nella sua “ultima pagina”, pubblicata ad aprile su Gardenia, a proposito del salice cresciuto spontaneamente sul bordo dello stagno:
«…che cosa ne sarà dell’acero? E l’acqua dello stagno, la succhierà tutta? E con la quercia, come si metterà? Lascio ai posteri la soluzione del rompicapo». Con insuperabile ironia, Pia prendeva commiato con queste parole da noi e anche un po’ dal suo giardino.
Più ci penso e più sento che quello che resterà di Pia sono le persone con cui lei ci ha messo in contatto. Una rete di esperienze giardiniere di cui era curiosa e instancabile scopritrice, tante poi diventate amiche. Nadia, Gianfranco, Antonio, Fabio, Maria Grazia, Simona, Sarina, Didier, Ilaria, Francesco, Sophie, Angelo, Lia, Marco, Barbara, Caterina, Lorenza, Andrea, Giannozzo, Francesca… e potrei continuare a lungo. Alcuni sono collaboratori di questo giornale, altri paesaggisti, vivaisti, proprietari di giardini e giardinieri che lei ci ha fatto incontrare, nelle sue “ultime pagine” e nei suoi articoli. Ma la rete va oltre, per raggiungere anche chi non ha avuto la fortuna e il privilegio di conoscerla di persona. Una rete di passioni e competenze che nel sito di Ortidipace, il movimento da lei creato per la diffusione degli orti comunitari, doveva trovare, questo era il suo desiderio, una casa. Rileggiamo insieme le parole scritte nel manifesto di Ortidipace: «Chiunque, nel rispetto dell’ambiente, coltivi la terra lavora anche per la pace. (…) Proponiamo la costituzione di una Rete di Orti di Pace nell’intento di tenerci in contatto, scambiare informazioni sulle varie iniziative. E anche, non ultimo, renderci conto di quanto poco siamo isolati nel gesto di coltivare il nostro comune giardino dall’umile nome di terra». Non siamo isolati. E tu Pia, ispiratrice e amica, resterai con noi. Ti incontreremo in giardino ogni volta che ci prenderemo cura di una pianta.